“Interruzione di pubblico servizio, falsità ideologica e materiale, peculato e truffa aggravata”: non stiamo parlando di criminalità organizzata, ma di sistema sanitario regionale. Nello specifico, sotto la lente dei carabinieri del Nas sono finite dieci Asl del Lazio. Liste d’attesa con tempi improponibili sono l’ultimo dei problemi. Quello più rilevante è la chiusura delle stesse a favore del servizio privato, gestito, troppe volte, dagli stessi medici del servizio pubblico. E se il rapporto tra il primo e il secondo negli ultimi anni conta una stima di 10 a 1, diventa più che sospetto, ma da attenzionare e verificare. Così hanno fatto i carabinieri che hanno denunciato tre medici a piede libero per i reati già citati, evidenziando un sistema troppo spesso ripetitivo in maniera sospetta. La soluzione, al di là delle denunce, va ricercata nella stessa disponibilità del personale medico non coinvolto nello scandalo: “Ora bisogna creare agende cup per recuperare le liste di attesa che si sono generate nel 2023” affermano alcuni camici bianchi. Il provvedimento andrebbe applicato nell’immediato, senza ulteriori indugi, perché il tempo gioca nettamente contro la risoluzione in tempi brevi, accumulando ulteriori richieste di esami. Va stigmatizzata, peraltro, una “pigrizia burocratica” da parte della stessa Regione Lazio che, dopo aver ricevuto dai NAS una relazione dettagliata sulla situazione al limite che le aziende sanitarie stanno vivendo, non rende pubblici i provvedimenti che intende prendere la direzione generale nei confronti dei medici – che nella informativa generavano queste liste di attesa privilegiando l’attività privata a scapito di quella ospedaliera – andando a finanziare questi stessi medici per ridurre le liste di attesa che loro stessi hanno generato. Uno scenario paradossale che non va a detrimento solo della reputazione della classe medica ospedaliera, ma soprattutto a svantaggio dell’utenza che si scopre vessata e messa all’angolo da scelte obbligate in merito alla propria salute.
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