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Attenzione al contagio “di ritorno”. In Italia l’isolamento doveva essere fatto prima

Azzerati i contagi, in Italia potrebbe verificarsi quel che sta già accadendo in Cina, a Wuhan: una nuova ondata “di ritorno”, ossia persone contagiate che importano il virus da fuori confine. A maturare questa convinzione Giorgio Palù, ex docente di microbiologia a Padova, professore di neuroscienze a Philadelphia:
«La prevalenza – afferma il professor Palu’ – è un dato statistico ottenuto con l’esame del sangue che ci mostra la distribuzione del virus. Incrociata con altri dati, può farci capire se esiste una immunità particolare al virus, cosa che nessuno sa per ora e quanto può durare. Ma soprattutto può indicarci come proteggerci dal contagio di ritorno, che in futuro diventerà il vero problema». Nel merito i virologi stanno cercando di capire anche se di Coronavirus ci si può riammalare: «Ci sono alcuni casi di persone che si sono ammalate altre volte. Ma non sono sufficienti a fare statistica. Però la storia di questo virus ci è già nota». E non mancano gli esempi negli studi dell’ultimo decennio: «Esatto – conferma Palu’ – Come la Mers e la Sars del 2012, e gli altri virus di quella famiglia che provocano semplici bronchiti, questi mutano poco. Ad esempio, in una stagione può capitare di prendere il raffreddore più volte». Raccogliendo maggiori informazioni su questo specifico genoma, sarà presto possibile ottenere delle risposte più circostanziate, garantisce il virologo: «Al contrario di molti altri colleghi, non sono pessimista. La Sars si è estinta in un anno, la Mers è ricomparsa sporadicamente. Questo virus muta, ma poco».
Decisamente singolare il caso di Lombardia e Veneto, le due regioni con il maggior numero di contagi ma con risposte e dati differenti tra loro: la Lombardia ha un tasso di mortalità prossimo al 14% mentre il Veneto è fisso sul 3,3%. «Sono due regioni con una dimensione socio-morfologica molto diversa – spiega Palu’ – a Codogno e Lodi si vive prettamente in condominio, Vo’ Euganeo è invece un paesino isolato sul Colli Euganei. Inoltre il Veneto possiede una sana cultura e una tradizione della Sanità pubblica, con presidi diffusi sul territorio. La Lombardia, molto meno». E ancora: «In Lombardia hanno affrontato l’emergenza ricoverando subito tutti, ed esaurendo subito i posti letto. Il 60% dei casi confermati. Da noi – afferma il virologo veneto – i medici di base e i Servizi d’igiene delle Asl sono stati fondamentali nel fare filtro: solo il 20%. Così lasciando a casa i positivi asintomatici si è evitato l’affollamento negli ospedali e la diffusione del contagio. Al contrario di quel che è avvenuto in Lombardia. Nessuno si è ricordato la lezione della Sars, un virus nosocomiale, così come lo è il Covid-19, a diffusione ospedaliera. La scelta della Lombardia di trasferire i malati dall’ospedale di Codogno, che era il primo focolaio, ad altre strutture della regione, si è rivelata poco lungimirante. Perché ha esportato il contagio, senza per altro che venisse immediatamente monitorato il personale medico. Hanno agito sull’onda emotiva. Tutti dentro. Invece dovevano tenerne fuori il più possibile». E poi conclude con la spiegazione del perché l’Italia è divenuta terreno fertile per il Covid-19: «Per affrontare un nuovo virus, nei confronti del quale la popolazione è ancora vergine, occorrono in primo luogo misure preventive, come l’isolamento, bloccando il contagio. Quello che assolutamente non serviva era la risposta automatica Pronto soccorso-ricovero».

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